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l’amministrazione siberiana della luce e del calore
L’idea per questo ciclo di lavori –non ancora concluso- è nata nel corso del mio viaggio in Siberia nell’estate del 1995. Con mia grande sorpresa, a Irkutsk ho ritrovato lo stesso caldo delle estati romane. Le rotaie dei tram si torcevano sotto il sole, i meloni freschi marcivano sui banchi del mercato. Sulla promenade del fiume Angàra, la sera, mi godevo il conforto del ponentino e mi chiedevo: dov’è finito il freddo? Nei pomeriggi più ardenti la mia immaginazione cercava le tracce del gelo dell’inverno passato e le trovava: nei pezzi di spago che sigillavano i vetri delle finestre, nell’uso di barricare le vetrine con le casse di mercanzia (per cui, entrando in un negozio, si passa prima dal magazzino). O anche nell’ansia di tutti di far bollire, mettere sott’aceto, sotto sale, far conserva e marmellata di ogni verdura e frutta che la breve stagione dell’abbondanza ci offre, prima dei lunghi mesi del buio e della paura di non farcela. Così ho cominciato a capire che nel grande caldo sta chiusa la memoria del gelo e viceversa, tutto sta nel riconoscere i segni. Come sempre. Forse la forma nella quale racconto questa esperienza è quella degli oggetti luminosi perché per me quella è stata un’estate davvero piena di luce (per la quale ancora oggi ringrazio i miei colleghi del Progetto Baikal, e in particolare Sara Focke-Levin). Padova, gennaio 2001 su