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rio negro
Poi che ora so che il tempo è sempre il tempo e che lo spazio è sempre ed è soltanto spazio T.S. Eliot, Mercoledì delle Ceneri Rio Negro Più uno invecchia più diventa difficile viaggiare, ma non sto parlando di reumatismi. La prima volta che ho visto il Sudamerica avevo venticinque anni e assorbivo le novità come una spugna. Dieci anni dopo, all’inizio del mio viaggio verso il Rio Negro, si trattava più di un confronto tra il nuovo e il quotidiano che viaggiava con me, con tutte le sue immagini. Nei miei appunti di viaggio in Brasile del 1990 trovo questa nota: negli ultimi anni ho viaggiato tanto, che l’esotismo sta perdendo poco per volta la sua forza. A vent’anni il nuovo comincia alla prossima fermata d’autobus, le donne sono più belle, come se ci fosse più ossigeno nell’aria. In una lingua straniera - che appena comprendiamo - ogni frase banale sembra uscita dalla Bibbia, tanto è precisa. A quarant’ anni invece, i taxi hanno tutti lo stesso odore … E’ stato un lento cambio di rotta, come una virata di transatlantico. Non vado più verso paesaggi o costumi, ma verso la mia maniera di vedere: e la meta è diventata irraggiungibile, esiste ormai solo come metafora: meno colorata, ma non meno interessante. Più difficile da raccontare. Come in viaggio confrontavo il profumo del pane di Merida con quello di casa, a casa la luce che entra dalla finestra del mio studio mi ricorda un angolo di foresta tropicale o un vicolo in Russia. Questi sono i miei souvenirs. Così viaggiando (anche per altre giungle europee) e lavorando in studio negli ultimi 10 anni, Rio Negro* è diventato un ciclo di lavori – quadri, disegni, foto, installazioni - tra il ricordare e il dimenticare, e ogni volta che penso: adesso ho finito, mi viene in mente qualcos’altro**. padova, ottobre 2000 su