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5 pezzi facili
INDICE Nota critica ...................................................7 1. Tristi tropici................................................. 11 2. Copenhagen..................................................23 3. Tornare a casa in un posto straniero..............37 4. La banda dei 4..............................................48 5. Conclusione all'aeroporto.............................59 Nota critica Anagni, luglio 2005 Gentile Signor Boniolo, La ringrazio per la fiducia con la quale Lei mi chiede un giudizio sui Suoi racconti. Purtroppo per parte mia mi trovo costretto a ricambiare la Sua cortese richiesta con un giudizio negativo. Ritengo i racconti in questione inadatti alla pubblicazione. Vorrei indicare di seguito quali siano a mio parere i principali difetti: a) la forma della scrittura è sciatta e imprecisa. Il Suo illustre omonimo, eroe della Guerra d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, era, nella vita civile, valentissimo orefice e cesellatore. Mi sarei augurato nei Suoi testi un lavoro appunto di cesello, che purtroppo manca del tutto. Il tono colloquiale è ineccepibile nel dialogo tra personaggi, ma del tutto inadeguato nell'uso da parte dell'io narrante in prima persona. Vorrei anche notare che la mancanza delle maiuscole dei nomi propri e geografici introduce una supposta intimità -che nei fatti non esiste- tra Lei e il Suo lettore, mettendo quest'ultimo nella spiacevole condizione di chi viene molestato da confidenze non richieste da parte di uno sconosciuto. Curiosamente nell'ultimo Suo racconto (conclusione all'aeroporto) il protagonista si trova proprio in questa irritante condizione di involontario confidente. Inoltre la mancanza di precisione nelle descrizioni di fatti e luoghi non può passare, nel Suo caso, come un elemento di stile "moderno" e suggerisce piuttosto un vuoto concettuale dietro il testo. Questa impressione negativa viene ancora aumentata dal tono umoristico fastidiosamente onnipresente. b) il contenuto dei racconti è banale, dozzinale. Alcuni elementi, ad es. la noncurante passività del personaggio principale, potrebbero essere interessanti se fossero più sviluppati. La mancanza invece di questo necessario approfondimento suggerisce solo piattezza, impressione aumentata ancora dall'inconsistenza dello spessore degli altri personaggi. Mi scuso con Lei per la brutalità con la quale esprimo queste critiche, ma la scrittura è un lavoro faticoso che, come tutti gli altri del resto, richiede misura e senso di responsabilità. La mancanza di queste qualità rende inevitabile un parere negativo. Con osservanza (Prof. Nicola Martinazzoli)

sesto capitolo (inedito)
AVVENTURA NEL METRÒ In quei tempi ormai lontani, quando ero troppo giovane, fui invitato un'inverno a mosca per mostrare i miei quadri espressionisti astratti stile de kooning. non voglio parlare della mostra, nè di quello che accadde in quelle due settimane piene di incontri e di bicchierini di vodka (nell'aureo rapporto di 50 bicchierini per un'incontro), ma di quel che è successo alla stazione della metropolitana. comincerò dicendo che non mi ricordo affatto il nome della stazione del metrò, ma solo che era lungo e cirillico, e che il luogo era periferico. eccomi dunque alla stazione del metrò alla periferia di mosca che aspetto il mio treno e ho tutto il tempo per guardarmi intorno. come forse sapete il metrò di mosca è la massima realizzazione dello stalinismo nel campo dell'architettura, ogni stazione è diversamente -e magnificamente- decorata di marmi, colonne, vetri, lampadari, dipinti, mosaici, ecc. questa dove mi trovo ora è illuminata da migliaia di tubi al neon: lampadari e appliques, colonne e fregi di neon. oggi, cioè allora, nei giorni del tramonto dell'unione sovietica, la morale dei lavoratori del metrò si corrompe rapidamente quanto il potere d'acquisto dei loro salari e quindi -per la prima volta dall'inaugurazione- si vedono qualche po' di carta straccia negli angoli, qualche ottone non proprio lucido, qualche neon spento. il treno non arriva, gironzolo, guardo in giro. mi accorgo che ogni lampadario ha almeno un tubo al neon spento, alcuni anche due. sto considerando se ci sia un ritmo nella distribuzione dei neon difettosi -una mia vecchia mania, quella di ricercare un'ordine matematico in eventi del tutto casuali- quando un reparto di polizia speciale invade la stazione e arresta tutte le vecchiette che vendono senza permesso una qualche mercanzia. urla e pianti delle vecchine, confisca delle merci (focaccine e sciroppi fatti in casa, calze di lana, santini di preti ortodossi), urla e prediche dei poliziotti speciali che sequestrano scatole e ceste. nel giro di qualche minuto ritorna la quiete e il treno ancora non si vede. tiro fuori il mio fedele taccuino e comincio a segnarmi la frequenza dei neon difettosi. nella stazione semideserta, siamo a mezza mattina, faccio a comodo mio, seguo col dito le file e i piani di neon, conto a mezza voce, improvviso abbreviazioni e scrivo un paio di paginette fitte di lettere e di cifre. il primo lampadario della prima fila ha il quarto neon della terza fila rotto e io scrivo (a1),3,4. improvvisamente qualcuno mi afferra da dietro, mi perquisisce velocemente e mi sbatte contro un muro: che bella sorpresa! sono appena stato arrestato da due poliziotti speciali, ognuno dei quali mi rivolge per conto suo domande in russo, lingua a me perfettamente sconosciuta (a parte la frase purtroppo non parlo il russo). mi portano al commissariato all'interno della stazione, dove ritrovo tutte le vecchiette che aspettano in una lunga fila. qualcuna piange per conto suo, la maggior parte mi guarda con sospetto: se non mi hanno sequestrato nessuna merce e non sono ubriaco cosa diavolo ho combinato? finisco su una panca tutta per me, e questo è logico perchè son l'unico maschio della retata, ma quel che non capisco è che i due poliziotti speciali mi strappano di dosso taccuino e zainetto. uno se ne va con le mie cose e l'altro si siede vicino a me e mi guarda malissimo. dopo qualche minuto mi viene in mente quel che hanno detto i miei amici russi la sera prima: con i miei baffetti alla d'alema, i capelli scuri e la mia giacca di pelle nera sembro proprio il classico terrorista del caucaso. dato che qualche mese prima i terroristi del caucaso hanno messo bombe in giro per mosca e fatto saltare in aria trecento persone, comincio a sudare. dopo altri cinque minuti arriva un sergente della polizia speciale, mi sventola davanti al naso il mio fedele taccuino con gli appunti cifrati sul prossimo attentato e ripete le domande incomprensibili di cui sopra. i sergenti sono uguali dappertutto nel vasto mondo, il suo tono è molto aggressivo e il volume tale, che tutte le vecchiette possono ascoltare e dimostrano grande interesse. anche quelle che prima piangevano per la cesta sequestrata sembrano aver dimenticato i loro guai. una si fa il segno della croce. cerchiamo di stare calmi, penso e dico in inglese: c'è qualcuno che parla inglese? come se dovessi ordinare la cena al ristorante. il sergente grida qualcosa contro di me, poi -quasi con lo stesso tono- contro il suo poliziotto speciale, che sparisce di corsa. il sergente rimane in piedi davanti a me e slaccia la chiusura del fodero della pistola. restiamo così per una mezz'ora, lui a dondolarsi sui tacchi davanti a me e io a sudare freddo. a un certo punto torna il poliziotto speciale e sussurra qualcosa all'orecchio del sergente speciale, che mi prende per il gomito e mi trascina in un ufficio dove -dietro una scrivania- mi aspetta il tenente speciale. questo nuovo è uno alto, biondo e magrissimo, parla inglese (molto meglio di me) e sorride. sembra una brava persona, ma io a quel punto non mi fido più: e se fosse il poliziotto che fa finta di essere buono come nei film americani, anche se siamo in russia? io voglio qualcuno dell'ambasciata -anzi l'ambasciatore in persona- che mi tenga la manina e mi soffi il naso. in realtà voglio la mamma. lui sfoglia il passaporto, lo guarda e lo rigira e mi chiede senza guardarmi cosa faccio a mosca. spiego che sono un'artista, che la mia mostra alla galleria comunale è stata inaugurata l'altra sera con fiumi di vodka. faccio i nomi dei miei amici russi. chiedo di riavere il mio portafoglio e lui me lo ridà, trovo i numeri di telefono di chi può confermare, e lui scrive qualche appunto. poi viene la parte difficile: le lettere e i numeri sono quelle dei neon rotti. sono un artista, noi facciamo cose strane. il tenente mi ascolta tutto concentrato, stringe le labbra, si vede che fa fatica a seguirmi. è come se una parte di me ascoltasse quello che dico, e cercasse di valutarne l'effetto sul tenente speciale. penso: qui me la sono cavata bene, qui non tanto. ma io ci crederei, se fossi in lui? ancora qualche domanda e il tenente speciale ha finito. il sergente cattivo mi accompagna alla panca, le vecchie sono ancora tutte là che aspettano (il terrorista del caucaso ha la precedenza) e mi guardano fisso. alcune parlano tra loro, e posso giurare che l'argomento sono io. il sergente dondola sui tacchi e io comincio a odiarlo. poi vengo richiamato nell'ufficio e mi danno da firmare il verbale di quel che ho dichiarato. guardo il foglio, è scritto in russo. quello è stato il momento più brutto di tutta la storia, io mi son visto firmare la più ampia confessione di aver non solo progettato un nuovo attentato ma anche di aver portato a felice compimento quelli precedenti, per puro odio del popolo russo e della pace nel mondo. tutte le lettere cirilliche di quel foglio mi ballavano davanti agli occhi. allora è successo un piccolo miracolo: ho alzato gli occhi e ho guardato fisso dall'altra parte della scrivania. nel mio sguardo si doveva leggere chiaramente la domanda "cosa mi fai firmare, tenente speciale?" e per risposta mi è arrivato un sorriso buono, comprensivo, che mi ha convinto. ho firmato, e non mi hanno portato via con la camionetta, non mi hanno ammazzato di botte, non mi hanno fucilato né spedito in siberia, non è successo nulla. invece il poliziotto che aveva battuto a macchina il verbale mi ha ridato le mie cose, il tenente mi ha accompagnato fino al treno, siamo passati insieme in mezzo a tutte le vecchiette deluse (le troie!), mentre lui mi dice "siamo troppo nervosi, è un momento difficile per essere russi". mi ero quasi dimenticato di questa storia quando l'altro giorno ho letto sul giornale la notizia della cattura di un noto boss (il mandante degli attentati della mafia degli anni novanta). c'era anche una foto di uno dei suoi pizzini, i foglietti sui quali scriveva in codice gli ordini da mandare in giro per la sicilia e per ogni dove. e sul pizzino c'era scritto: (a1),3,4. sono andato a ripescare il mio fedele taccuino della russia. a parte la calligrafia, quadrava tutto. allora, in un attimo -breve ma perfetto- di delirio ho pensato di essere un killer mafioso, e che il mio capo mi stesse ordinando qualcosa con 10 anni di ritardo. su