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lezioni veneziane #1
comincio subito con un esempio e vi mostro due foto di una mia installazione del '97 che si chiama "rio negro for beginners" [a proposito del nome: ci sono molti rio negro, in spagna e in tutta l'america latina. quello che ho scelto come titolo per il mio ciclo di lavori è l'affluente del rio delle amazzoni, descritto da alexander von humbolt nel suo "voyage aux regions equinoxiales du nouveau continent" (1807), un'opera monumentale in 35 volumi che è anche uno dei libri d'avventure più belli che conosco]. (descrizione del lavoro, foto 1 e 2). su questo lavoro ho scritto un breve testo: nel buio della foresta mi muovo circospetto, attento a non inciampare, a non battere la testa. mi concentro sul procedere, tutto il resto lo immagino più che vederlo. eppure solo l'idea del bosco intero mi guida, mi dice dove andare, cosa fare. in una galleria vedo le opere come sono presentate, all'altezza a cui sono appese, vedo la gente: ma c'è anche il resto dello spazio, silenzioso e paziente, senza quadri, senza persone. quindi sono partito da un'idea semplice: lo spazio di una galleria è maggiore di quello occupato dai quadri e dagli occhi degli spettatori e -velandolo- ho cercato di farlo vedere. da questo punto di partenza come sempre il lavoro è poi andato avanti per i fatti suoi, in una direzione da me affatto imprevista. io ho delle idee mie su quel che sembra, quel che evoca, quel che ricorda. carlo severi lo chiama doppio cielo e va benissimo, i bambini che hanno visto la mostra si infilavano tra le sbarre del ballatoio e giocavano tra rete e pavimento a essere pesci, al sicuro dagli adulti che non potevano seguirli. benissimo anche questo! il secondo lavoro che vi presento è "vedere, ricordare, dimenticare" del 2000, (foto 3 e 4, descrizione del lavoro) qui ho non poche difficoltà perchè dovrei farvi anche ascoltare un suono: quello di una goccia d'acqua che cade. dovete immaginarlo e in realtà questo suono l'hanno sentito davvero in pochi: all'inaugurazione della mostra c'era troppo rumore. come vedete questa volta l'argomento è uno spazio del tutto mentale, quello tra il vedere e il dimenticare. fonti infinite di riflessione su quest'argomento sono stati un racconto di borges (ireneo funès o della memoria) e un film di chris marker (sans soleil). l'idea di partenza è che il vedere si nutre di dimenticare come il ricordare di vedere. non c'è differenza tra la goccia che cade dal primo secchio nel secondo e l'altra che dal secondo finisce nel terzo: il suono dell'una è l'eco di quello dell'altra. tra parentesi: avete notato che il suono di una goccia d'acqua è tra quelli che ci colpiscono di più, ma anche di quelli più facili da dimenticare appena è cessato? comunque per tutta la durata della mostra, ogni pomeriggio dopo l'apertura, l'assistente della gallerista prendeva una lunga scala e ci saliva per versare tutto il dimenticato nel secchio in alto, quello del vedere. tutti i riti privati, tutti insieme, mantengono l'ordine del mondo. a questo punto vorrei dire due parole su come lavoro. io definisco i miei lavori sistemi in attesa. esempi classici di questi sistemi sono la fotocellula che fa suonare un campanello quando entriamo in un negozio, o -più preoccupante- una pianta carnivora in attesa di un insetto. costruisco installazioni che stiano in una specie di standby sonnolento, aspettando che qualcuno -incuriosito o attratto o irritato dalla forma- ci cada dentro disposto a ricostruire la parte non visibile del lavoro [per questo, come per il concetto che segue, vi rimando a un articolo di carlo severi: presenze del primitivo, maschere e chimere nell'opera di joseph beuys]. io ho sempre il timore che i temi che affronto siano troppo sfuggenti e sottili, per questo negli anni mi sono inventato una specie di metodo che chiamo "rarefazione": cerco di isolare il più possibile quel che voglio dire da ogni contesto -nel secondo esempio che vi ho fatto ho tolto quasi tutto, rimangono solo tre secchi neri e il suono di due goccie d'acqua, praticamente poco più del titolo. in fisica rarefazione vuole dire anche raffreddamento e io cerco proprio questo: congelare un concetto per osservarlo meglio. nell' articolo di severi che ho citato prima sulle presenze del primitivo nell'arte di beuys (che considero -tanto per giocare qui a carte scoperte- un mio grande e inarrivabile maestro) si parla del contrario: di quegli oggetti, solitamente di uso rituale, nei quali p.es. una lucertola, un corpo umano e un sesso maschile sono fusi insieme in una chimera. lo sforzo dell'artista primitivo nello scegliere i particolari dei tre elementi da mettere in evidenza, nell'accennare ad altri, e parallelamente il nostro sforzo di ricostruire una forma unica innalzano -secondo me- la temperatura dell'opera come quando comprimiamo un gas in una bombola. nella più classica delle chimere, il grifone, lo spazio non è occupato solo dal corpo del leone e dal rostro e ali dell'aquila -che si vedono- ma anche dalla testa del leone e dal corpo dell'aquila che non si vedono: ci sono tutti, stanno stretti ma ci stanno. quando abitavo a berlino sono stato moltissime volte con mio figlio piccolo al museo di etnologia, nei lunghi inverni tedeschi ci siamo scaldati molte volte davanti alle vetrine dell'arte dell'oceania e da quelle visite mi è rimasta l'abitudine di usare il termometro come strumento supplementare di lettura delle immagini. aggiungo una terza e ultima installazione dal titolo "voglio vedere il mare" che ho realizzato in montagna,al passo del brennero, l'anno scorso, riempiendo un vecchio bunker in disuso di una tonnellata di acqua di mare (foto 5-18). confesso senza troppi rimorsi che ho fatto tutto questo lavoro (e non è stato poco) per realizzare un vecchio sogno: guardare le montagne e sentire nello stesso tempo l'odore del mare. il titolo richiama la famosa frase di segantini morente: voglio vedere le mie montagne, che è anche titolo di una delle ultime grandi installazioni di beuys. l'effetto bizzarro di stare in un posto e sentire l'odore di un altro è piuttosto -se mi passate la parola- destabilizzante, forse perchè l'olfatto è un senso arcaico ci fidiamo moltissimo di lui e quando evidentemente ci inganna (non siamo al mare) proviamo un disagio sottile e anche un po' comico. quando vado a vedere una mostra sono sempre molto irritato quando mi accorgo che i miei colleghi cercano di stupirmi, quando usano strumenti come il virtuosismo (o l'iperbolico, o l'inaudito). poco tempo fa ho visto una serie di immagini di un fotografo molto famoso scattate negli obitorii. il titolo era più o meno "mogli picchiate a morte dai loro mariti" (foto che non ho la minima intenzione di farvi vedere, non perchè siano orrende -lo sono- ma perchè mancano di pietà, raddoppiano la morte senza le attenuanti che poteva avere, o non avere, un assassino). invece vi descrivo il lavoro di un bravissimo collega di berlino, manfred butzmann. lui ha passato mesi e mesi a girare nei cimiteri del nord della germania perchè si era accorto che sulle lapidi di un periodo di tempo lunghissimo (dal '600 al 1850 più o meno) c'erano solo nomi di uomini. spesso però si usava aggiungere l'acronimo USE che vuol dire und seine ehefrau: e sua moglie. butzmann ha realizzato una quantità enorme di frottages (foto 19-28) di queste lapidi usando una tela bianca molto sottile e ha poi attaccato al muro in una grande stanza questi brandelli di stoffa con due chiodini, lasciano poi aperte la porta e una finestra: un vento lieve agitava i muri coperti di questi pietosi fazzoletti. e vi giuro che sembrava di sentire le urla di protesta di tutte quelle donne derubate del loro nome. io penso che gli artisti non abbiano bisogno di trucchetti, che dovrebbero essere sobri per natura. per il pensiero primitivo il vero miracolo è che il ramo torni verde ogni anno, e che quando il ramo è verde quel pianeta sia di nuovo in quella posizione, per il pensiero scientifico che nell'acceleratore le particelle si comportino a dovere. le meteore, la scomparsa dei dinosauri, le tegole che ci cadono sulla testa sono spettacolari ma scontate, perchè lo sappiamo bene che il mondo e la vita sono misteri. per quel che riguarda l'arte figurativa, penso che la maniera di vedere -e di emozionarci di quel che vediamo- sia uguale da sempre, a tutte le latitudini e in tutte le culture. studiare queste costanti significa prendere sul serio l'esperienza quotidiana, e a volte anche inseguire la banalità fino a costringerla a dirci i suoi segreti. tomaso boniolo / maggio 2005 bibliografia 1.Alexander von Humboldt: Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo Mondo (1807), ed. italiana Palombi, Roma 2.Jorge Luis Borges: Ireneo Funès o della memoria (1944) in Finzioni, ed. italiana Einaudi, Torino 3.Chris Marker: Sans Soleil (1982), Nouveau Pictures DVD [versione inglese, contiene anche La Jetée (1962)]. Il testo completo delle lettere "di Sandor Krasna" è apparso sulla rivista francese Trafic (1983?) 4.Carlo Severi: Présences du primitif (1992), in Les Cahiers du Musée National d'Art Moderne n°42, Centre Georges Pompidou, Paris su